Un calice di circa otto centimetri circondato da sei tenere lance si allarga in una corona di dodici punte triangolari, qui respira l’infinito.
Avete mai visto un giglio di mare? Se andate a spasso per le dune che costeggiano il litorale pugliese tra Giugno e i primi di Novembre, potete incontrare quei piccoli fiori bianchi che crescono a gruppi di tre o sette, tra lo sparto pungente, l’ammophila, i lentischi e i ginepri. Se non ve li fate sfuggire, avrete l’opportunità di vedere l’Infinito in un fiore.
Un piccolo fiore candido, dal profumo delicato e allo stesso tempo intenso, si apre mostrando un’architettura naturale semplicemente perfetta. Un calice di circa otto centimetri circondato da sei tenere lance si allarga in una corona di dodici punte triangolari. Dall’interno spuntano sei stami dorati che terminano con un’antera gialla a forma di arco, come una leggera lunetta tremula. Lo Yoga insegna che la realizzazione si estende dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, dall’atomo di materia allo Spirito. Da anu ad Atman* Dio rivela se stesso nell’essere umano.
Ecco perché conoscere se stessi vuol dire conoscere l’Universo intero. La stessa cosa può dirsi di un fiore. Per me il giglio di mare è un piccolo calice in cui respira l’Infinito, che si inchina fin lì, impercettibile, immenso e amorevolmente presente. Se penso che l’Infinito respira pure in noi esseri umani immagino che gli venga la tosse… eppure punti di energia universale racchiusi in un involucro compongono anche la nostra forma. Sarebbe bello se avessimo una conoscenza migliore dei nostri involucri, dei petali e del polline dorato che i nostri chakra possono effondere, consapevoli dell’aggregato di forze attive nei nostri corpi, tutte col proprio ritmo, la propria qualità e funzione e ogni atomo al suo posto come sentinella dell’Infinito.
Il regno umano, tra cielo e terra, è il punto mediano nella scala evolutiva e la via che conduce alla coscienza dell’atomo ha la stessa misura di quella che conduce alla coscienza del nostro sistema solare. Saranno mai colmabili queste distanze? Si può percorrere il sentiero dell’Infinito ritrovandolo in ogni passo compiuto?
Imparare a disciplinare la mente con la pratica costante della meditazione, consente di esplorare la vita ed entrare in rapporto con qualsiasi realtà, macro o microcosmica, come fanno i più sofisticati telescopi o microscopi elettronici. E anche meglio. Quando i vritti (i capricciosi riccioli che perturbano la sostanza mentale) sono pacificati, avviene una perfetta fusione nelle fasi dell’atto conoscitivo e “Il conoscitore, la conoscenza e il campo della conoscenza divengono tutt’uno, così come il cristallo assume il colore di ciò che riflette”* e ogni distanza è colmata in un’unica presenza.
In questa realizzazione di unità è possibile riconoscersi nella comunione delle anime racchiuse in ogni forma e contemplare la perfezione e la bellezza del Creato in un minuscolo fiore o nello splendore di una stella. Ma prima bisogna imparare a meditare… Solo così i samskara, i semi latenti del karma, possono cominciare ad aprirsi per lasciare libera la luce che contengono e che condurrà alla nostra fioritura, esattamente come dai lucidi semi neri del giglio di mare spuntano teneri calici d’Infinito.
Giovanna Spinelli
*sutra n.40 e 41 del primo libro degli Yogasutra di Patanjali