E’ nel cuore dell’uomo, non nel mondo, che il male va estirpato: “lasciate che la zizzania e il grano crescano insieme fino alla mietitura”.
Non so se avete notato la profonda differenza tra la difficoltà dei temi trattati, alcuni di natura squisitamente filosofica e metafisica, e la limpida semplicità del testo: tale è il miracolo espositivo e didascalico delle parabole evangeliche.
Proseguiamo adunque parlando dell’obiettivo che le forze del Male si propongono e quale sia la loro funzione nell’economia del Creato. Nel corso del viaggio di ritorno di tutte le creature alla Casa del Padre, il Male si prefigge di ostacolare e ritardare il nostro cammino con una serie di espedienti e di false credenze e illusioni, tra le quali la prima è quella della separatività.
Non a caso l’etimo del termine “diavolo” è dia-bolos (che divide), in primis dalla fonte della Vita, ovvero il Padre Nostro che è nei Cieli, in ciò collocandosi all’esatto opposto della funzione che svolge il Cristo, che è quella invece di ricondurci a Lui. E infatti il nemico mortale di Satana è proprio il Cristo, non certo il Padre da cui anch’esso discende e nel cui seno risiede.
Ci meravigliamo che le cose funzionino a tal modo? E’ la stessa meraviglia dei servi che vanno dal padrone e gli dicono: “Padrone, non hai seminato il buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?” E’ la domanda cardine di ogni teodicea: Da dove viene la sofferenza…da dove viene il male? Ecco un’altra opera del demonio, quella di seminare dubbio e sfiducia nei confronti del Creatore instillando il germe di aporie insanabili nella mente dell’uomo: “Si Deus est unde malum? Et si non est, unde bonum?” (Boezio) oppure: “ Se Dio vuole togliere il male e non può, è debole; se può e non vuole, è ostile nei nostri confronti; se vuole e può, perché non lo elimina?” (Epicuro).
Si tratta di trappoloni propri della mente razionale, incapaci di comprendere la logica superiore che sottende i piani più alti della Realtà. Bene e Male sono come luce e ombra, come giorno e notte, senza l’uno non potrebbe esistere l’altro, è questa la strutturazione bipolare della Realtà, il modulo costitutivo di questo Universo.
Lo Spirito allo stato puro non potrebbe manifestarsi senza la resistenza oppostagli dalla Materia, così come l’energia elettrica non potrebbe apprezzarsi senza la resistenza della lampadina o l’indotto di un motore. E siccome il nostro compito è quello di trasmutare la materia e noi con essa, ci toccherà sì di schierarci con le Forze di Luce, ma senza avere la pretesa di estirpare il male del mondo, come vorrebbero fare i servi con la zizzania del campo: “vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?”. In questo modo, cioè destrutturando la Realtà alterandone le dinamiche funzionali, si finirebbe col danneggiare buoni e cattivi insieme, ed oltretutto non si riuscirebbe a distinguere bene gli uni dagli altri, tant’è che la Storia dell’uomo è piena del sangue di innocenti scambiati per colpevoli: di buone intenzioni – come sappiamo – è lastricata la strada che porta all’inferno.
L’esempio più chiaro e luminoso invece di come bisogna relazionarsi col male ci è dato da Gesù Cristo, che è venuto al mondo non per cancellarlo, bensì per assumerlo su di sé, facendosi Lui strumento di redenzione per gli altri, frequentando anche ladri e prostitute e non giudicando neppure nell’ora suprema della sofferenza estrema: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno (Luca 23, 34).
E’ nel cuore dell’uomo, non nel mondo che va estirpato quel Male essenziale che è la negazione di Dio e della Vita che da Lui procede. Satana non è allora il male, è solo il tentatore, il nostro sé inferiore. Quanto sangue e quante guerre si sarebbero evitate se gli uomini avessero veramente compreso il senso di questa parabola!! Dalle parole: “ Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura”, fulcro attorno al quale ruota tutta la parabola, si sarebbe potuto trarre un manifesto di tolleranza, di rispetto, d’Amore, fondando così una CULTURA DI PACE e di CONDIVISIONE, non viceversa di contrapposizione, di competitività, di scontro.
Il Padrone, dopo avere semplicemente preso atto della presenza dell’erbaccia – cioè del male – “un nemico ha fatto questo”, rimanda la sua distruzione al momento della mietitura, in cui sarà possibile sceverare il grano dal loglio: “ Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla, il grano invece riponetelo nel mio granaio”.
Non c’è quindi nessuna indifferenza nei confronti del male, al contrario la certezza di colpirlo al momento giusto, quando non esiste più il rischio di confonderlo con il bene, e soprattutto quando avrà esaurito la sua funzione ontologica nel contesto della creazione. La festività pasquale simboleggia mirabilmente questo momento, che nel caso del Maestro Gesù si collega alla sua vittoria definitiva nei confronti del Male e della morte con la Resurrezione e l’ascesa al Cielo, ma non necessariamente va situato alla fine dei tempi, come generalmente si intende.
Preferiamo non dilatare troppo in là l’attesa, quanto piuttosto situare il lavoro di scerbatura nel processo che ha luogo ad ogni trapasso, quando attraversando i piani più sottili rivediamo la nostra vita, ci mondiamo appunto delle nostre impurità, piccole o grandi che siano, e ci prepariamo se necessario ad un’altra incarnazione.
Il campo di grano con la zizzania, oltre che essere equiparato al mondo in generale, potrà essere allora la metafora della nostra personalità attuale: nel corso della dimora in un corpo fisico è compito arduo estirpare le nostre emozioni cattive senza rischiare di cancellare anche quelle buone, cadendo in uno stato così di anaffettività e di anedonia che sarebbe la negazione della vita stessa, ma una volta abbandonata la densità del piano materiale e con l’aiuto delle forze celesti (i mietitori) saremo in grado di fare il giusto bilancio di quanto karmicamente prodotto, serbando i tesori (il grano nel granaio) e lasciando consumare nel fuoco quanto va lasciato andare.
Se poi, invece di essere noi la zizzania del mondo, volessimo prenderci la briga di fare qualcosa di importante e di proficuo per la Vita, realizzando “anche attraverso i nostri corpi il disegno divino di perfezionamento sul pianeta nel quale viviamo”, potremmo far fruttare il seme buono della parola di Dio, agendo come il lievito fa con l’impasto e facendola crescere come il piccolo granello di senape che diventa albero grande e accogliente. Ma questo sarà l’argomento di altre parabole che andremo prossimamente ad illustrare. Pace e Bene a tutti.
Per leggere la prima parte di questo articolo vi rimando al link: https://www.yogavitaesalute.it/parabola-grano-zizzania-prima-parte/
Giorgio Minardo
Fonti e bibliografia: – “ La parabola della zizzania del campo “ (Qumran2.net)